8. TERAPIA



8.1. Valutazione dell'animale prima della terapia

Dopo aver effettuato la diagnosi di filariosi cardiopolmonare, la scelta della terapia più opportuna da intraprendere deve basarsi su una valutazione sistematica e razionale del paziente unita ad una conoscenza dei meccanismi fisiopatologici della malattia e delle opzioni terapeutiche a disposizione (Venco et al., 1998).
Il rischio di tromboembolismo polmonare a seguito di terapia adulticida aumenta nei cani con sintomi clinici evidenti e segni radiografici indicativi della presenza di una grave patologia dei vasi polmonari, dovuta ad un'elevata carica parassitaria (vasi polmonari tortuosi ed aumentati di diametro).
Da un punto di vista pratico bisogna coinvolgere il proprietario dell'animale, spiegandogli l'evoluzione della malattia, della terapia, la prognosi e rivisitando il cane almeno una volta a settimana, per valutare l'eventuale comparsa di complicanze post-terapia adulticida come inappetenza, ipertermia, tromboembolia.
L'inclusione del paziente in una classe di rischio, in relazione all'anamnesi, all'esame clinico ed agli esami strumentali consente di scegliere il trattamento più appropriato e di formulare una prognosi corretta (Tabella 2).

Classe I: forma lieve
In questa classe vengono inseriti la maggior parte dei cani infestati, che non manifesta segni clinici oppure essi sono lievi. In questi pazienti si effettua un trattamento standard. La prognosi è favorevole.

Classe II: forma moderata
Comprende i pazienti che presentano dei sintomi clinici di grado moderato, tra cui la tosse frequente, senza cause apparenti, ed una lieve intolleranza all'esercizio. Per la maggior parte di questi pazienti è indicato un trattamento standard e la prognosi è favorevole con riserva.

Classe III: forma grave
Comprende pazienti che presentano i segni clinici più gravi, inclusi la tosse, frequentemente esacerbata dall'esercizio, la marcata intolleranza all'esercizio, episodi sincopali e le manifestazioni dell'insufficienza cardiaca congestizia destra. Si osserva comunemente anche la cachessia e la presenza di un mantello opaco e meno folto. In questi pazienti, e in quelli appartenenti alla classe II nei quali si desidera seguire un approccio più conservativo, è consigliato utilizzare il protocollo di trattamento alternativo. La prognosi è riservata.

Classe IV: sindrome della vena cava
La sindrome della vena cava è un quadro patologico acuto e parossistico che può insorgere in corso di filariosi cardiopolmonare nel cane e più raramente nel gatto (Kitagawa et al., 1990).
In questi soggetti non deve essere utilizzata la terapia adulticida fino a quando non sono stati rimossi la maggior parte dei parassiti per via chirurgica (Rawlings, 1986).
La prognosi è particolarmente riservata.


Tabella 2. Classi di rischio di FCP.

 
CLASSE I
CLASSE II
CLASSE III
CLASSE IV

SINTOMATOLOGIA


asintomatica


lieve


grave


grave


PROGNOSI


favorevole

favorevole con riserva

riservata

molto riservata

TERAPIA


adulticida +
collaterale +
limitazione attività fisica

adulticida +
collaterale +
riposo forzato

sintomatica +
adulticida +
collaterale +
riposo forzato

sintomatica
+ chirurgica

 

8.2. Preparazione del soggetto in relazione alla classe di appartenenza: terapia sintomatica

Prima di effettuare la terapia adulticida, è necessario stabilizzare le condizioni cliniche del paziente se esse non si presentano soddisfacenti (Rawlings e Calvert, 1995).
Nell'ambito della terapia sintomatica devono essere considerati tutti i trattamenti terapeutici che, pur non essendo direttamente volti all'eliminazione dell'agente casuale, sono in grado di contrastarne l'effetto patogeno determinando un conseguente miglioramento della sintomatologia clinica.

Riposo
Il riposo costituisce una misura terapeutica di fondamentale importanza nei soggetti che manifestano una sintomatologia determinata dalla infestazione in corso, prevenendo le complicazioni tromboemboliche, come sottolineato dalle linee guida dell'American Heartworm Society (Knight, 1983).
Anche una modesta attività fisica è in grado di indurre pericolosi aumenti dei valori pressori polmonari in cani con gravi alterazioni, causate dalle macrofilarie, delle arterie polmonari e delle camere cardiache (Dillon et al., 1995).
Nei soggetti con sintomi moderati la restrizione all'esercizio non è necessariamente rigorosa (Knight, 1977), mentre in quelli con sintomi gravi (ascite, edemi degli arti) si impone un riposo assoluto, fino al confinamento in gabbia (Calvert, 1986).
Il riposo forzato è in grado di ridurre in modo significativo l'ipertensione polmonare diminuendo nel contempo il consumo di ossigeno da parte dei tessuti in soggetti che non sarebbero in grado, per le alterazioni respiratorie e cardiache, di sopperire alle maggiori richieste determinate anche da una modesta attività fisica.

Aspirina
Attualmente l'uso dell'aspirina, come antiaggregante piastrinico per la prevenzione del tromboembolismo polmonare, molto utilizzato in passato, non viene più consigliato dall' American Heartworm Society. Questa revisione è stata fatta a causa della mancanza di prove definitive sui suoi effetti antitrombotici e perché non è chiaro se sia in grado di aiutare a contrastare la vasocostrizione indotta dalle prostaglandine (Knight, 1995).

Eparina
L'eparina è un glicosaminoglicano, dotato di attività anticoagulante e rappresenta il trattamento di scelta quando si osservano i segni clinici e radiografici della tromboembolia polmonare, sia nelle fasi precedenti sia in quelle successive al trattamento adulticida.
Non è assorbita a livello gastroenterico e perciò deve essere somministrata per via parenterale: endovenosa o sottocutanea. Per la migliore cinetica di assorbimento, è consigliabile la somministrazione
di eparina calcica (Vezzoni e Genchi, 1989).

Farmaci corticosteroidei
I corticosteroidi per la potente azione antiinfiammatoria esercitata costituiscono un presidio terapeutico di fondamentale importanza nella terapia sintomatica della filariosi cardiopolmonare. Sono indicati per il trattamento delle complicanze che possono interessare il parenchima polmonare, quali i fenomeni tromboembolici, sia antecedenti sia successivi alla terapia adulticida , e la polmonite eosinofilica (Rawlings e McCall, 1996).
Nei cani con tromboembolismo polmonare, si somministrano farmaci corticosteroidei per alcuni giorni, talvolta fino ad una settimana, in aggiunta al riposo e possibilmente alla somministrazione di ossigeno.
Nei pazienti con polmonite eosinofilica, si devono somministrare glucocorticoidi ed antibatterici ad ampio spettro fino a che non si ha la risoluzione dei segni clinici e gli esami radiografici non dimostrano la scomparsa degli infiltrati polmonari. La terapia con glucocorticoidi (prednisone, inizialmente 1-2 mg/kg al giorno) porta di norma a un rapido e marcato miglioramento (Knight, 1995). Il prednisone, somministrato con dosi scalari fino a raggiungere 0,5 mg/kg a giorni alterni, non comporta una diminuzione dell'efficacia adulticida della melarsomina. Non appena si sono risolti i segni clinici della malattia allergica, di solito in un tempo compreso tra cinque e quindici giorni, è possibile avviare il protocollo terapeutico con melarsomina.

Diuretici
I diuretici sono una categoria di farmaci in grado di aumentare la produzione di urina aumentando il flusso plasmatico renale. Solitamente si utilizza furosemide al dosaggio di 1-3 mg/kg due o tre volte al giorno.

Vasodilatatori
L'ipertensione polmonare costituisce l'evento principale nella patogenesi della filariosi cardiopolmonare del cane in relazione alle complesse alterazioni indotte dalla presenza del parassita nel circolo arterioso polmonare (Knight, 1999). La possibilità di utilizzare un farmaco in grado di determinare una significativa vasodilatazione ed una conseguente riduzione dei valori pressori a livello delle arterie polmonari è un valido ausilio nella terapia sintomatica della filariosi cardiopolmonare.

Ossigeno
L'ossigenoterapia è di estrema importanza in corso di filariosi acuta nel cane e nel gatto (Rawlings, 1990). L'ossigeno è anche un potente vasodilatatore polmonare in grado di contrastare la vasocostrizione indotta da ipercapnia e tromboembolismo polmonare.

Antitussigeni
I farmaci sedativi della tosse ad azione centrale sono indicati solamente come sintomatici, per ridurre il trauma polmonare nei soggetti che presentano accessi di tosse violenta in caso di emottisi.



8.3. Terapia adulticida

Le forme adulte di D. immitis costituiscono lo stadio più patogeno del parassita (Rawlings, 1980). Lo scopo di una terapia causale macrofilaricida è quello di ottenere una eliminazione dei parassiti adulti per impedire un peggioramento delle lesioni vascolari e parenchimali polmonari e per consentire una risoluzione o un miglioramento delle lesioni indotte precedentemente dal parassita.
A tutt'oggi la melarsomina diidrocloridrato, introdotta nel 1991, è l'unico composto arsenicale utilizzato come farmaco adulticida. È il farmaco di scelta, più efficace e più sicuro, per il trattamento nei confronti dell'infestazione da D. immitis.
Alla luce dei vantaggi connessi con l'impiego di tale farmaco, non sussiste più alcuna
indicazione per continuare ad utilizzare la tiacetarsamide sodica, un composto arsenicale trivalente, fortemente istolesivo, che veniva somministrato per via endovenosa, mattino e sera, per 2 giorni consecutivi (Jackson, 1963).

    8.3.1. Melarsomina

La melarsomina è disponibile come polvere liofilizzata sterile in fiale da 50 mg e quando ricostituita è stabile per 24 ore se conservata in frigorifero e al buio.
È efficace sia contro i parassiti immaturi (L5) sia contro quelli maturi di entrambi i sessi. Si somministra per via intramuscolare profonda nella muscolatura del dorso nella regione tra L3 e L5, seguendo esattamente le raccomandazioni della casa produttrice (Rawlings e McCall, 1996). I muscoli lombari possiedono una buona rete vascolare e linfatica con scarsità di fasce. Inoltre, la forza di gravità previene il suo passaggio nei tessuti sottocutanei, dove può causare notevole irritazione. In circa un terzo dei cani trattati, il farmaco provoca reazioni localizzate al sito di inoculo, caratterizzate da edema, rossore e dolorabilità. Queste reazioni sono in genere lievi o moderate e guariscono completamente entro 4-12 settimane. La melarsomina viene assorbita rapidamente dal sito di iniezione e altrettanto velocemente il farmaco immodificato e il metabolita principale vengono eliminati nelle feci, mentre il metabolita meno importante nelle urine. A seguito della somministrazione della melarsomina si possono osservare sintomi clinici generali di tipo comportamentale, con irrequietezza, tremori, letargia, perdita dell'equilibrio e atassia, e di tipo respiratorio con respirazione affannosa, superficiale e difficoltosa, crepitii polmonari. A volte possono anche comparire depressione del sensorio e anoressia in circa il 15% dei soggetti trattati (Knigth, 1999). Altri possibili effetti collaterali includono febbre, vomito e diarrea. Nei pazienti che ricevono le dosi raccomandate in genere questi sintomi sono lievi e le alterazioni epatiche e renali non si sono mai rilevate clinicamente importanti. La melarsomina provoca minore tossicità a livello sistemico di quanto sia in grado di fare la tiacetarsamide. Un sovradosaggio può causare scialorrea marcata, vomito, difficoltà respiratorie, infiammazione dei polmoni ed in casi eccezionali edema polmonare e morte (Vezzoni, 1998). Una parziale antagonizzazione dei sintomi dovuti ad un sovradosaggio può essere ottenuta somministrando dimercaprolo alla dose di 3 mg/kg per via intramuscolare, che però allo stesso tempo riduce anche l'attività adulticida del farmaco.

    8.3.2. Protocollo terapeutico standard per i cani appartenenti alla classe I e per la maggior parte di quelli di classe II

La terapia standard prevede la somministrazione intramuscolare di melarsomina dicloridrato al dosaggio di 2,5 mg/kg per due volte a distanza di 24 ore (Genchi et al., 1992). La seconda iniezione deve essere praticata sul lato opposto a quello della prima e al massimo si possono inoculare 3 ml di farmaco per lato. Dopo aver completato l'iniezione, è necessario esercitare una pressione con le dita per circa un minuto. Questa precauzione dovrebbe ridurre la possibilità di migrazione del farmaco attraverso il percorso dell'ago e quindi in direzione dei tessuti sottocutanei.
È importante seguire attentamente le raccomandazioni fornite dalla casa produttrice.
Il paziente va tenuto a riposo per 4-6 settimane dopo la terapia adulticida per ridurre le conseguenze della morte dei parassiti adulti e i fenomeni tromboembolici polmonari. Il periodo di riposo per i cani da lavoro dovrebbe essere probabilmente più lungo, perché l'aumento del flusso sanguigno polmonare in risposta all'esercizio porta ad un peggioramento del danno al letto capillare polmonare e della conseguente fibrosi (Knigth, 1999).

    8.3.3. Protocollo terapeutico alternativo per i cani appartenenti alla classe III e per alcuni cani di classe II

I cani con patologia grave devono essere sottoposti ad un trattamento sintomatico e tenuti a riposo forzato. Una volta stabilizzate le condizioni del paziente è possibile iniziare la terapia adulticida.
Il rischio delle complicanze tromboemboliche gravi è significativamente più elevato nei cani che presentano delle infestazioni in classe III, pertanto è stato formulato un protocollo alternativo che si è dimostrato più sicuro in questi pazienti e che prevede la somministrazione di melarsomina alla dose di 2,5 mg/kg, per via intramuscolare, una sola volta. È necessario continuare a tenere il cane a riposo per un mese.
Tale trattamento determina:

  • la riduzione solo parziale della carica parassitaria con l'uccisione di circa il 50% dei parassiti adulti, e tra questi circa il 90% dei parassiti maschi;
  • la riduzione del rischio di grave tromboembolismo polmonare e di morte provocati dall'uccisione di un numero elevato di parassiti.

Dopo 90-120 giorni, se il test antigenico risulta ancora positivo e se le condizioni cliniche del cane lo consentono, si esegue il secondo ciclo di terapia costituito da due iniezioni alla dose di 2,5 mg/kg, per via intramuscolare, distanziate l'una dall'altra di 24 ore, come precedentemente descritto nel protocollo classico. Con questo secondo ciclo si uccidono le macrofilarie che erano rimaste vive dopo il primo trattamento. Dopo la terapia è nuovamente opportuno mantenere il paziente a riposo assoluto per oltre un mese.

Insufficienza cardiaca congestizia destra
Nei pazienti appartenenti alla Classe III si può riscontrare la presenza di un'insufficienza cardiaca congestizia destra. Il primo obbiettivo della terapia deve essere quello di ristabilire condizioni emodinamiche accettabili nei soggetti che ne sono affetti, per poter effettuare, se possibile, successivamente una terapia volta all'eliminazione dei parassiti. In questo caso, sarà opportuno, oltre ad eseguire il confinamento in gabbia, somministrare una terapia che comprenda l'uso attento:

  • dei diuretici (furosemide), che tramite riduzione del volume ematico e della pressione idrostatica, inducono il riassorbimento degli edemi;
  • degli ACE inibitori (per esempio enalapril), che sono farmaci inibitori dell'enzima convertasi, deputato alla formazione di angiotensina I;
  • di una dieta a basso tenore di sodio.

Pazienti non stabilizzati
In certi casi può essere impossibile stabilizzare i pazienti che presentino debolezza e dispnea gravi, anoressia, mucose apparenti particolarmente pallide o grigiastre.
In questo gruppo di pazienti la terapia di supporto può comprendere ossigeno, eparina, utilizzo di farmaci corticosteroidei, somministrazione attenta di diuretici e degli ACE inibitori (se è presente l'ascite) ed il confinamento in gabbia.
È opportuno anche effettuare l'esame ecocardiografico per determinare la carica parassitaria del paziente e, se molto elevata, l'eventuale possibilità di effettuare l'asportazione chirurgica dei parassiti. Questa tecnica è stata sviluppata in Giappone da Ishihara e colleghi e richiede l'impiego di una pinza da alligatore lunga e flessibile. Sotto guida fluoroscopia, lo strumento è fatto avanzare ripetutamente nella vena giugulare, nel settore cardiaco destro e nell'arteria polmonare, dai quali vengono estratti i parassiti (Ishihara et al., 1986).
La rimozione chirurgica delle macrofilarie dalle camere cardiache destre e dall'arteria polmonare principale è stata proposta e praticata per evitare gli inconvenienti legati al massivo tromboembolismo conseguente al trattamento adulticida nei soggetti gravemente infestati. In Italia è utilizzata da un numero di colleghi abbastanza limitato. Successivamente può essere necessario effettuare la terapia adulticida al fine di rimuovere la restante carica parassitaria.

    8.3.4. Asportazione chirurgica dei parassiti nei cani con la sindrome della vena cava

La terapia dei pazienti affetti dalla sindrome della vena cava prevede la rimozione chirurgica dei parassiti dalla vena cava e dall' atrio destro mediante la tecnica eseguita per la prima volta da Ronald Jackson. Questa soluzione è l'unico trattamento efficace.
Viene compiuta una venotomia della vena giugulare destra con il cane leggermente sedato, se necessario utilizzando anestetico locale, e posto in decubito laterale. Per afferrare i parassiti attraverso l'incisione compiuta nella vena giugulare vengono usate delle pinze alligatore lunghe, uno strumento con canestro per l'asportazione per via endoscopica o un dispositivo con spazzola. Lo strumento viene fatto passare all'interno della vena fino a raggiungere l'atrio destro (Jackson et al., 1977). Può essere necessario muovere la testa e il collo dell'animale per farlo passare al di là dell'ingresso del torace, con lo scopo di recuperare il maggior numero di parassiti possibile, effettuando al massimo cinque o sei tentativi. È stato osservato un tasso di sopravvivenza del 50-80% dei cani sottoposti a questa procedura (Kitagawa et al., 1998).
Durante e dopo l'intervento chirurgico si somministrano liquidi per via endovenosa ed un antibiotico ad ampio spettro. È consigliabile monitorare la conta piastrinica e trattare la trombocitopenia. La presenza di grave tromboembolismo polmonare e di insufficienza epatica o renale viene associata ad un esito infausto (Tassi, 1987) .
Dopo circa due settimane dall'asportazione chirurgica dei parassiti si effettua la terapia adulticida, per eliminare i parassiti adulti rimasti. La prognosi dei pazienti affetti dalla sindrome della vena cava è riservata.


8.4. Complicanze della terapia adulticida

    8.4.1. Malattia tromboembolica polmonare

Le complicanze più gravi, conseguenti alla terapia adulticida, sono gli episodi tromboembolici, che si verificano nei giorni successivi alla terapia, di solito tra 7 e 15 giorni, fino ad un mese dopo. I parassiti adulti vivi hanno uno strato protettivo contro le proteine dell'ospite e sono resistenti alla trombosi, ma con la morte questo meccanismo protettivo si deteriora, portando alla formazione di trombi e focolai di infiammazione granulomatosa (Rawlings, 1986). I frammenti dei vermi morti vengono spinti dal flusso sanguigno nella porzione più distale del torrente circolatorio causando tromboembolia delle arterie di calibro minore che, fino a quel momento, potevano anche non essere interessate dalle alterazioni tipiche della filariosi cardiopolmonare (Furlanello, 1998). La morte dei parassiti provoca un'esacerbazione delle lesioni anatomopatologiche e dei quadri clinici causati dalle macrofilarie stesse, mettendo l'animale in condizioni di pericolo di vita.
Risulta importante, da un lato la scelta del trattamento adulticida, dall'altro mettere in atto tutte le possibili misure atte a prevenire l'insorgenza di reazioni gravi o comunque a limitarne l'entità. Il trattamento conservativo di questi pazienti consiste nel riposo forzato assoluto (confinamento in gabbia), che deve avere inizio almeno una settimana prima della terapia adulticida e protrarsi per almeno un mese dalla sua fine (Knight, 1983), e nella somministrazione di farmaci corticosteroidei, per ridurre l'infiammazione polmonare. La terapia con corticosteroidei deve però essere sospesa nel momento in cui si osservi la risoluzione dei segni clinici e radiografici. Di solito la durata del trattamento corticosteroideo è di 3-7 giorni, in quanto la somministrazione di questi farmaci per periodi superiori a 7-10 giorni può causare una riduzione del flusso ematico polmonare, promuovere la coagulazione e contribuire allo sviluppo dei fenomeni tromboembolici.
È consigliabile somministrare ossigeno, per ridurre la vasocostrizione polmonare conseguente all'ipossia, e possibilmente eparina. Può risultare utile l'impiego di broncodilatatori (per esempio aminofillina 10 mg/kg per via orale, intramuscolare o endovenosa ogni 8 ore, oppure teofillina 9 mg/Kg per via orale ogni 6-8 ore), di antitussigeni, diuretici e di fluidi (in caso di possibile shock cardiovascolare).

    8.4.2. Coagulazione intravasale disseminata (CID)

La coagulazione intravasale disseminata rappresenta una diretta conseguenza della malattia tromboembolica e di solito si associa ad una malattia arteriosa polmonare preesistente particolarmente grave. Questa complicanza in genere si verifica in un periodo compreso tra i 5 e i 30 giorni dalla somministrazione della terapia adulticida.
Il trattamento della CID nella forma cronica o di lieve entità prevede la somministrazione di eparina per un tempo variabile da alcuni giorni ad alcune settimane. Si consiglia di tenere l'animale a riposo e di fornire una terapia di supporto, inclusa la somministrazione di soluzioni elettrolitiche.

    8.4.3. Innalzamento dell'azotemia

Se la funzione renale è stata controllata in modo appropriato prima del trattamento macrofilaricida, le complicanze renali sono rare. Tuttavia, in alcuni cani con filariosi cardiopolmonare si possono sviluppare iperazotemia e grave proteinuria. L'innalzamento dell'azotemia di solito è di tipo prerenale ed è associato ad episodi di vomito e disidratazione. L'attenta somministrazione di fluidi per via parenterale determina in genere la correzione dello squilibrio (Calvert e Rawlings, 1995).
Sebbene la melarsomina non comprometta la funzione renale, possono comunque verificarsi complicazioni.


8.5. Terapia microfilaricida

Attualmente la Food and Drug Administration (FDA) non ha ancora approvato alcun farmaco per il trattamento microfilaricida.
Ciononostante, molti autori raccomandano di eliminare le microfilarie nei cani dopo il trattamento macrofilaricida, in quanto questi pazienti microfilariemici, dal punto di vista epidemiologico, costituiscono dei serbatoi in grado di perpetuare l'infestazione del parassita. Inoltre, le microfilarie, seppure dotate di scarsa patogenicità, in alcuni soggetti possono essere causa di alterazioni soprattutto a livello renale.
Il trattamento microfilaricida è diventato di routine nella pratica veterinaria e come farmaci microfilaricidi è possibile usare l'ivermectina o la milbemicina ossima; generalmente viene effettuato 4-6 settimane dopo la terapia adulticida (Tassi e Vezzoni, 1987).
La morte rapida di numerose microfilarie nell'arco di 3-8 ore e a volte anche di 12 ore dalla prima dose del farmaco può provocare effetti a livello sistemico, solitamente moderati, come letargia, inappetenza, salivazione, conati di vomito, defecazione, pallore delle mucose e tachicardia (Kitagawa et al., 1993). In uno studio è stato osservato che circa il 10% dei cani può manifestare una letargia lieve e anoressia, nel periodo compreso tra uno e due giorni dopo la terapia (Calvert e Rawlings, 2003).
Gli effetti collaterali sono osservati più di frequente nei pazienti che hanno un numero molto elevato di microfilarie per unità di volume di sangue, 15.000-20.000/ml o anche maggiore (Calvert e Rawlings, 1995). Questi cani, occasionalmente, possono andare incontro a collasso, che però risponde bene alla terapia con glucocorticoidi (per esempio prednisolone sodio succinato o desametasone per via endovenosa) e fluidoterapia endovena (80 ml/kg nell'arco di 2 ore) quando vengono somministrati immediatamente (Knight, 1995).
Si consiglia di monitorare attentamente i pazienti per 8-12 ore dopo l'inizio del trattamento microfilaricida, effettuato con uno dei due faramaci. Un vantaggio aggiuntivo di entrambi è rappresentato dalla capacità di prevenire nuove infestazioni.
Il trattamento microfilaricida può essere ripetuto ogni 2 settimane fino alla scomparsa delle microfilarie, ma solitamente sono sufficienti una o due somministrazioni (Knight,1995).

    8.5.1. Ivermectina

L'ivermectina è un'avermectina, antibiotico appartenente alla famiglia dei lattoni macrociclici ottenuto previa modificazione chimica del suo precursore abamectina (o avermectina B1), prodotto di fermentazione naturale dello Streptomyces avermitilis. Dal punto di vista strutturale le avermectine sono simili agli antibiotici macrolidi ma sono apparentemente prive di attività antibatterica, mentre sono efficaci nei confronti di un ampio spettro di ecto ed endoparassiti (Venco et al., 1998).
Viene somministrata alla dose di 0,05 mg/kg per via orale, che è superiore a quella utilizzata per la prevenzione. Potrebbe essere utilizzata la formulazione per grossi animali e in tal caso è necessario calcolare esattamente la diluizione e la dose per evitare un sovradosaggio. Un millilitro di ivermectina (10 mg/ml) diluito in 9 ml di glicole propilenico può essere somministrato per via orale, la mattina, utilizzando una dose di 1 ml/20 kg di peso corporeo. L'animale deve essere monitorato durante la giornata e quindi dimesso la sera (Knight, 1999).
È importante prestare molta attenzione alla somministrazione di questo farmaco nei cani di razza Collie, per i quali l'ivermectina rappresenta un farmaco sicuro solo quando è prescritto ai dosaggi raccomandati. Anche se il dosaggio consigliato per l'ivermectina (0,05 mg/kg) è inferiore a quello critico per i Collie e i Bobtail sensibili (0,12 mg/kg), alcuni autori raccomandano di impiegare in queste razze i farmaci microfilaricidi alternativi, come il levamisolo. Le reazioni tossiche all'ivermectina nei Collie sensibili rispondono poco al trattamento, anche se si può tentare di antagonizzare l'azione del farmaco con la somministrazione di picrotossina, alla dose di 1mg/minuto per 8 minuti (Silvine et al., 1985).

    8.5.2. Milbemicina ossima

La milbemicina è un antibiotico macrolide, isolato dai prodotti di fermentazione naturale di Streptomyces hygroscopius aureolacrimosus (Mishhima et al., 1972).
Presenta un'azione microfilaricida quando è somministrata al dosaggio profilattico di 0,5-1,0 mg/kg, per via orale e ha il vantaggio di essere più conveniente economicamente, rispetto all'ivermectina.
Gli studi condotti su cani di razza Collie dimostrano una particolare tossicità della milbemicina solo a dosaggi da 10 a 20 volte superiori la posologia consigliata (5-10 mg/kg) che determinano lievi reazioni tossiche reversibili (Tranquilli et al., 1991).


8.6. Valutazione dell'efficacia della terapia

La valutazione dell'efficacia del trattamento sia adulticida, sia chirurgico, non può prescindere da una valutazione clinica dello stato del paziente (Calvert e Rawlings, 1986). Un miglioramento delle condizioni con scomparsa od attenuazione dei sintomi è indicativo dell'efficacia, almeno parziale, del trattamento instaurato.
La valutazione clinica può presentarsi in certi casi di difficile interpretazione, pertanto è sempre necessario effettuare un test antigenico e un esame di concentrazione delle microfilarie dopo la terapia adulticida e microfilaricida.
Attualmente l'uso dei test per la ricerca degli antigeni costituisce il metodo più preciso per valutare l'efficacia del trattamento nel cane.
Per l'elevata sensibilità raggiunta, questi test sono in grado di svelare la persistenza anche di pochissimi parassiti adulti, di sesso femminile. A seguito di una terapia macrofilaricida completamente efficace, sia medica sia chirurgica, la concentrazione di antigeni a livello ematico tende gradualmente a ridursi finchè tali antigeni non sono più rilevabili dopo 3-4 mesi dal trattamento (Venco et al., 1998). In questo periodo di tempo, generalmente, si ottiene la guarigione del soggetto. Da un punto di vista pratico, prendendo in esame soggetti che appartengo a razze da caccia (Setter, Pointer, Segugi), quindi cani da lavoro, il massimo dell'efficacia della terapia si ottiene 6 mesi dopo quest'ultima.
Quando si osserva una positività antigenica post-terapia adulticida, si deve effettuare un secondo ciclo con melarsomina.
È opportuno effettuare un test di concentrazione delle microfilarie dopo tre giorni-una settimana dal trattamento microfilaricida. Se il test è positivo, evenienza rara, è necessario ripetere il trattamento, se invece è negativo è opportuno prescrivere la terapia profilattica.


8.7. Terapia nel gatto

Data la breve durata della vita dei parassiti adulti nel gatto, l'infestazione è spesso autolimitante. I tentativi di trattare i felini colpiti con la somministrazione di tiacetarsamide hanno avuto solo moderatamente successo, per cui questa soluzione non è consigliata. In uno studio, sono stati segnalati effetti collaterali tossici in una percentuale di gatti trattati che arriva a due terzi (Turner et al., 1991).
Esiste una scarsa esperienza clinica riguardo l'uso di melarsomina diidrocloridrato nel gatto (Dillon et al., 2000).
La terapia microfilaricida solitamente non è necessaria poiché la microfilariemia è transitoria e spesso assente.




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